MI PARLI DI LEI

Stamani, intorno alle 10.00, sono sceso in una delle sale riunioni più piccole per accogliere un potenziale collega.

Non faccio mai colloqui, è una competenza di ben altri vertici che non di un semplice e poco socievole associate come me. Ma un po’ il fatto che il candidato andrebbe a ricoprire una posizione di collaborazione all’interno del mio team, un po’ che si tratta di un primo e poco importante colloquio di scrematura, un po’ che il mio capo non si sente bene dopo una notte in cui nel suo bagno “hanno preso forma riproduzioni in scala del primordiale big bang dio mio non metto più piede in un indiano che sia uno e fanculo pure gli anniversari”, mi ritrovo qui a stringere la mano sudata di un ragazzotto di 25 anni con i pantaloni troppo stretti intorno alle caviglie.

“E’ la moda che vuole così”, lo giustifica la parte razionale e meno istintiva del mio cervello, poco propensa a lasciarsi andare a stupidi pregiudizi. “E’ uno stronzo”, taglia corto tutta l’altra parte di me. “Per chi è il caffé?” domanda la centralinista. “Mio” risponde il ragazzotto, incurante della mia lacerazione interna.

Mi siedo.

“Dunque…”, spiego sul tavolo il curriculum che mi è stato consegnato non più di 3 minuti fa e ne do una veloce lettura: bocconiano, due cognomi, tre lingue, quattro sport. Mi gratto una tempia. Cerco di richiamare al suo dovere la mia parte razionale, che controlli i miei gesti, le mie parole, che faccia il suo mestiere, che non mi lasci sciolta la briglia. Ma la parte razionale e meno istintiva del mio cervello pare intenta a scoppiare bolle di trasparenti involucri di plastica. Plop. Plop. Plop. Plop. Plop. Non si cura più del ragazzotto. Non si cura più di niente da parecchio, a dire la verità.

Ripesco nella memoria le domande che mi sono state rivolte nei precedenti colloqui e cerco di riciclare le meno stupide, respingendo le più offensive della dignità del candidato, richieste quali:

“Mi indichi tre suoi pregi e tre suoi difetti”.

Conosco la risposta: tra i pregi sbrodolati annoveriamo l’ambizione, la dedizione, lo spirito di sacrificio, quello di adattamento, l’umiltà. Una volta ho anche sentito dire l’amore per gli animali e questo potrebbe essere utile nei rapporti con i clienti. Tra i difetti, invece, si scatena la furbizia del candidato, che conosce la necessità di mostrare un certa capacità di auto-valutazione ma resta comunque ansioso di presentarsi nel migliore dei modi. Contiamo allora: l’immancabile ambizione, la testardaggine, l’ostinazione, oltre che la troppa bontà, la troppa generosità e in generale tutte le più belle qualità precedute da “troppa”. Difetti che non sono realmente tali. Ricordo una ragazza che, un giorno, disse, con partecipata sincerità: “Sono forse troppo onesta”. E questo sì, per un avvocato è un difetto. Non fu richiamata.

Oppure abbiamo la preveggente: “Dove si vede fra 10 anni?”.

Questa è facile. Di solito la maggior parte degli intervistati si spende a descrivere un quadretto funzionale e rispondente alle aspettative dell’intervistatore. Tranne un ragazzo che al mio Capo rispose: “Vorrei trovarmi al suo posto”. Intendeva “nella sua posizione, una persona importante come lei, che nemmeno conosco ma già prendo come modello e meta finale del mio percorso”. Purtroppo fu percepito come “ti manderò a lavare i gabinetti in Stazione Garibaldi” e fu segato.

Lascio perdere e pesco dal mazzo la classica: “Mi parli della sua precedente esperienza lavorativa”. Il ragazzotto comincia a raccontare di sé, con una certa baldanza e un tono di voce troppo alto. Si loda, esalta la sua ambizione, mi spiega le sue irreprensibili motivazioni, mi parla di obiettivi, di mercato, di strutture, di respiro internazionale. Mi ha quasi convinto a votarlo alle prossime elezioni regionali, quando mi dice: “Potrei essere l’asset di cui ha bisogno uno studio come questo”. Poi tace e si accarezza il mento. Lo guardo. Mi guarda. Abbasso gli occhi, fingo di non avere sentito e faccio un passo indietro:

– “Lei dice che lo studio in cui lavora è ottimo. Ottimi rapporti con i colleghi, ottimo lavoro, ottima paga, ottimo tutto. Perché allora desidera cambiare struttura?”
– “E’ vero. Corretto. Ma le dirò”, e mi si avvicina come a svelarmi un prezioso segreto, “il mio desiderio ora è quello di targettare un indir…”
– “No, mi scusi. Cosa vuole fare?”
– “Dicevo che l’intenzione è quella di crescere da un punto di…”
– “No, no. Che parola ha usato?”
– “Che parola ho usato?”
– “Targettare ha detto. Ho capito male?”
– “Ah sì, quella. Non avevo capito a cosa si riferiva.”
– “Continui…”

Questo ragazzo vuole targettare, ho considerato.

Da qui in poi ho ripensato a quando da bambino guardavo il mio treno elettrico correre sui binari e non ho più sentito una parola.